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Il grido dei medici di base:
non chiamateci "retrovie"

Professionisti che non balzano agli onori delle cronache, certo, ma che sono molto più di semplici “retrovie” e che quotidianamente, tra innumerevoli difficoltà, sono ugualmente eroi, a modo loro, anche se non vogliono essere chiamati così. Sono infatti consapevoli di non essere in prima linea, al pari di tanti colleghi, nella lotta al virus. Eppure sono ugualmente fondamentali, soprattutto sul territorio, per le piccole e grandi comunità, perché sono diventati, oggi più che mai, il punto di riferimento di tutti quegli anziani, malati cronici o affetti da altre patologie, che senza di loro si sentirebbero persi. Stiamo parlando dei medici di base, quelli che più volte sono stati definiti “retrovie”, ai quali oggi invece diamo voce, con un’intervista alla Dottoressa Marcella Caporello, medico di medicina generale, che spiega quanto sia cambiata l’attività dei professionisti che ogni giorno assistono, curano e gestiscono pazienti che altrimenti farebbero solo lievitare il numero di accessi nei reparti di pronto soccorso, già sollecitati oltre maniera. 

“Non mi sento di confrontarmi con chi è in prima linea e a contatto con i malati di Covid-19 – esordisce la Dottoressa Marcella Caporello - ma ci tengo a sottolineare anche il nostro lavoro, altrettanto importante: ogni giorno manteniamo il contatto con i pazienti cronici, gli anziani, gli ammalati. Ascoltiamo le loro problematiche, li supportiamo e li confortiamo, rassicurandoli quando ci espongono le loro paure. Abbiamo implementato il rapporto telefonico, allargandolo anche alle videochiamate. Personalmente sono operativa a Lariano, alle porte di Roma, e da settimane il mio telefono è acceso 24 ore su 24. Non esistono notti o fine settimana, la mia etica e il mio senso del dovere m’impongono, oggi più che mai, di essere reperibile sempre. Lo sento come un dovere, credo che ognuno debba fare la sua parte al massimo delle sue possibilità”.

Una presenza costante, dunque, e un supporto pratico ai pazienti, che fanno però emergere anche le innumerevoli criticità del settore, privo di dispositivi e protezioni adeguate e costretto ad arrangiarsi come meglio può: “Un medico positivo è un grande diffusore – evidenzia la Dottoressa Caporello - andiamo avanti con delle mascherine personali, che abbiamo reperito per conto nostro, e con soluzioni alcoliche che ci permettono di disinfettare i nostri dispositivi di volta in volta. Nessuno ci ha procurato il materiale necessario. Alcune settimane fa, quando il mio studio era ancora aperto al pubblico, è venuto un paziente che poi è risultato positivo: abbiamo dovuto sanificare gli ambienti a spese nostre. Gli studi dei medici di famiglia – prosegue la Dottoressa - sono lasciati da soli, sarebbe bello che qualcuno ci desse più assistenza. Finora ci è stato inviato un solo kit, che comprende una sola mascherina, un solo camice, un solo cappellino, dunque è adeguato per una singola vestizione; queste sono tutte criticità”.

Come adattarsi alla situazione per lavorare comunque al meglio? “Cerco di dare il massimo ai miei pazienti, rispondo anche a numeri che non conosco, anche di sabato e di domenica. Per evitare spostamenti dei pazienti, mi faccio inviare le foto, ci arrangiamo con i video su Whatsapp, invio i codici delle ricette via email, m’interfaccio con dei familiari più giovani nel caso di pazienti molto anziani. Insomma, lavoro affinchè le persone escano di casa il meno possibile. Molte volte hanno semplicemente bisogno di fare domande, di sfogarsi; ho dei pazienti in quarantena e in isolamento, sono io a chiamarli per sapere come stanno. Sollecito gli organi preposti affinchè vengano effettuati i tamponi. Con un orgoglio commosso, ricevo tante manifestazioni d’affetto dai miei pazienti. Questo mi ripaga degli sforzi di ogni giorno. Infine ci tengo a sottolineare la mia vicinanza e il mio sostegno ai tanti colleghi che ogni giorno, soprattutto al Nord, ci mettono la faccia e che purtroppo, a volte, pagano anche con la vita i loro tanti sacrifici”.

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